Ho i calcoli al fegato, cosa devo fare?

Avere “i calcoli al fegato” è un modo di dire che in realtà significa avere quello che in temine medico si chiama colelitiasi, cioè la presenza di calcoli nella colecisti, una vescichetta a forma di pera localizzata sotto il fegato.

La colecisti costituisce il serbatoio di un liquido (la bile), prodotta dal fegato e convogliata al suo interno attraverso una vastissima rete di canali (i dotti biliari), diffusi in tutto il fegato. La colecisti di riempie di bile durante il digiuno tra un pasto e l’altro, e dopo il pasto si contrae e immette il suo contenuto, attraverso un condotto (il coledoco), nel tratto dell’intestino subito dopo lo stomaco (il duodeno), dove esercita la sua funzione principale che è quella di favorire la digestione dei grassi.

Come si formano i calcoli all’interno della colecisti?

Bisogna anzitutto chiarire che la bile è costituita da un complesso di sostante chimiche, principalmente costituite dagli acidi biliari e dal colesterolo.

Il fenomeno di formazione dei calcoli si verifica quando si altera la sua composizione chimica, vale a dire quando la quantità di colesterolo al suo interno aumenta in modo eccessivo, rendendo la bile molto meno fluida di quanto dovrebbe essere, e quindi facilitando la cristallizzazione del colesterolo, che è il principale componente dei calcoli.

Esistono però anche altri tipi di calcoli (i calcoli pigmentari) che si formano in soggetti affetti da malattie emolitiche (che aumentano la velocità di distruzione e ricambio dei globuli rossi, con conseguente accumulo nella colecisti dei loro prodotti di degradazione).

Perché i calcoli si formano in certi individui e in altri no?

Le cause che rendono più probabile la formazione dei calcoli sono molteplici: vi sono cause genetiche ben note, sia individuali (più casi nella stessa famiglia) che razziali (ad esempio nei nativi americani la colelitiasi è presente in oltre il 50% dei casi, mentre in Italia si aggira intorno al 10-15%, aumentando con l’età, e in certe zone dell’Africa ed estremo oriente è molto più bassa).

Si conoscono molte altre condizioni favorenti, come il sovrappeso (ma anche un calo di peso troppo rapido), la scarsa attività fisica, il diabete, la cirrosi epatica, molti farmaci tra cui gli estrogeni e progestinici, i fibrati (farmaci che servono a ridurre colesterolo e trigliceridi), la ciclosporina (farmaco che viene usato nei trapiantati d’organo per ridurre il rigetto), l’octreotide (che serve a curare emorragie digestive e pancreatiti).

Anche la gravidanza è una delle cause più frequenti di colelitiasi, a causa dell’elevato livello di estrogeni e di progesterone. Altre cause meno frequenti sono la nutrizione parenterale (in soggetti che per la loro malattia non possono ingerire cibi per bocca), gli interventi di chirurgia bariatrica (che servono a far perdere rapidamente peso agli obesi non rispondenti alla sola dieta) e una particolare sindrome genetica chiamata “colelitiasi da bassa concentrazione di fosfolipidi” e caratterizzata dalla comparsa di problemi biliari prima dei 40 anni, con recidive dopo asportazione della colecisti e comparsa all’ecografia di segni che indicano calcoli anche all’interno delle vie biliari intraepatiche.

In sintesi, tutti i fattori suddetti sono accomunati dalla capacità di aumentare la concentrazione di colesterolo o di pigmenti biliari nella colecisti, e di ridurre la sua capacità di contrarsi dopo i pasti, favorendo il ristagno di bile al suo interno.

Come si fa la diagnosi di colelitiasi?

La metodica di elezione per la diagnosi della colelitiasi è fondamentalmente l’ecografia.

Con tale metodica, poco dispendiosa, assolutamente innocua e ripetibile senza limiti, si possono vedere i calcoli all’interno della colecisti, e spesso anche nei dotti biliari, e si possono valutare le conseguenze della loro presenza sul fegato e sul pancreas.

In casi particolari sono indispensabili altri esami più complessi e costosi: la TAC, che fornisce un quadro complessivo di tutti gli organi dell’addome superiore, la Risonanza Magnetica, che può essere usata come la TAC per avere un quadro addominale complessivo ma anche, con un programma specifico, per vedere i calcoli situati nei canali biliari, spesso non valutabili con l’ecografia.

Può essere talvolta necessario eseguire l’Ecoendoscopia, che consiste nell’introduzione attraverso le vie digestive superiori di un endoscopio (lo strumento che si usa per fare la gastroscopia) dotato alla sua estremità di una sonda ecografica, con la possibilità di visualizzare non solo l’interno dello stomaco e del duodeno ma anche gli organi contigui tra cui le vie biliari più profonde e il pancreas.

Esiste infine un’altra metodica (la Colangiografia Retrograda Endoscopica) che utilizza l’endoscopio per raggiungere nel duodeno la valvola che costituisce l’estremità terminale del dotto biliare principale. E’ così possibile introdurre al suo interno un sottile catetere col quale si può iniettare un mezzo di contrasto e visualizzare radiologicamente tutto l’albero biliare, ma soprattutto si possono estrarre eventuali calcoli che ci sono migrati dalla colecisti.

Come si curano i calcoli

La terapia della colelitiasi consiste essenzialmente nell’asportazione chirurgica della colecisti.

Un’alternativa farmacologica può essere tentata solo quando i calcoli sono costituiti da colesterolo puro (sono radiotrasparenti, cioè non si vedono facendo una radiografia dell’addome) e sono di molto piccole dimensioni (meno di 5 mm). Il farmaco è l’acido ursodesossicolico, che si deve somministrare a dosi adeguate per un lungo periodo di tempo (come minimo sei mesi) e spesso non dà i risultati sperati.

Detto questo, bisogna fare una premessa fondamentale: nella grande maggioranza dei casi (almeno nell’80% dei casi), la diagnosi di colelitiasi viene fatta per caso, il più delle volte eseguendo una ecografia magari per ragioni che non hanno niente a che fare con un sospetto di calcolosi, vale a dire in soggetti che hanno ciò che si definisce come “colelitiasi asintomatica”.

Sono stati eseguiti numerosi studi sulla storia naturale della colelitiasi, allo scopo di capire che cosa può succedere nel tempo, e si è constatato che nei casi in cui la diagnosi è stata casuale l’evoluzione successiva è molto favorevole, vale a dire che si può convivere con i calcoli senza fare assolutamente nulla.

E’ però necessario eseguire controlli periodici perché eventuali complicanze (come la migrazione di calcoli nelle vie biliari, la colecistite, la pancreatite), anche se relativamente rare, possono sempre insorgere.

Si è discusso molto sulla convenienza o meno di eseguire sistematicamente una colecistectomia (l’intervento di rimozione chirurgica della colecisti) in via preventiva, per evitare eventuali complicazioni future. L’intervento di regola non è difficile e i rischi sono molto bassi (ma non sono zero, c’è sempre una anestesia, la possibilità di un danno alle vie biliari, l’eventualità di un’infezione).

Di conseguenza è necessario valutare caso per caso l’opportunità di eseguire l’intervento anche in assenza di indicazioni assolute, cercando di capire quali sono i pazienti che potrebbero più facilmente andare incontro e complicazioni in futuro.

Ad esempio, vi sono soggetti affetti da altre malattie che potrebbero rendere più complesso un intervento in urgenza, o che hanno calcoli multipli e molto piccoli oppure al contrario pochi ma molto grandi, oppure ancora una colecistite cronica con la parete ispessita e calcificata, o essere candidati a subire un trapianto d’organo.

Si comprende pertanto come una decisione di questo genere deve essere lasciata ad un gastroenterologo o epatologo.